Fotografia e impermanenza.

A volte le coincidenze….

New York 2001 Alessandro Acquadro
New York 2001 © Alessandro Acquadro

Incontro con il Wabi-Sabi.

Spesso mi soffermo ad osservare particolari e dettagli che mi fanno riflettere. Come in quelle giornate in cui la luce filtra irregolare attraverso le tende creando ombre e riflessi sul pavimento. Proprio mentre cercavo di trovare il filo su questi pensieri mi è capitato di leggere il libro di Leonard Koren, “Wabi-Sabi: for Artists, Designers, Poets & Philosophers“, in cui parla del wabi-sabi come “la bellezza delle cose imperfette, temporanee e incompiute. E’ la bellezza delle cose umili e modeste. E’ la bellezza delle cose inconsuete”. Quelle parole sono state un invito a ragionare sui pensieri di quando con quello sguardo un pò differente, ho apprezzato, una crepa sul muro, la patina del tempo su un oggetto, il tremore impercettibile di una mano durante uno scatto. Imperfezioni che caratterizzano uno stile, un modo di essere. Il Wabi-sabi mi ha ricordato come l’imperfezione può diventare un linguaggio. 

Dopo anni di pratica di Shiatsu e Fotografia, quel termine giapponese mi si è presentato come una presenza silenziosa, capace di dare nome non solo a ciò che già stavo vivendo attraverso l’obiettivo ma anche ad un mio approccio tipico verso la vita di tutti i giorni. Il concetto di impermanenza da cui ho preso spunto leggendo sul Wabi-Sabi è molto interessante nel trovare nuove definizioni che aiutano a spiegare la visione del mio Metodo.

Prima di scattare, respiro. Sento i piedi a terra, la postura, il modo in cui il mio corpo si relaziona con lo spazio. E se potessi sentire e percepire anche l’impermanenza? Durante uno scatto, percepisco qualcosa che va oltre l’immagine, un silenzio tra le inquadrature, un respiro tra un gesto e l’altro, un’eco di fragilità e presenza.
Quando il mio corpo è centrato, quando sento quella presenza consapevole, riesco a percepire non solo ciò che vedo, ma anche il tempo che abita le cose. È come se ogni oggetto, ogni volto, ogni paesaggio portasse con sé la propria storia di trasformazione e il mio compito fosse quello di muovermi insieme.
La luce stessa rivela il transitorio. Una nuvola che passa, un riflesso imprevisto, un’ombra che si allunga, i riflessi di cui parlavo all’inizio, diventano un’opportunità per catturare un momento irripetibile nella sua imperfezione autentica.
Lo spazio stesso diventa un contenitore di memorie, un archivio silenzioso di tutto ciò che è stato.
Ogni ambiente porta con sé le tracce del tempo: un pavimento consumato dai passi, una parete segnata dalle stagioni, una finestra che ha visto migliaia di tramonti.

Scrivere di questo incontro tra wabi-sabi e fotografia per me significa interrogare come le fotografie che creo assorbano e restituiscano qualcosa che ha a che fare con la caducità. Il tempo che passa, nella luce che cambia, nei segni sulle pareti, in ogni dettaglio apparentemente trascurabile, tutto merita uno sguardo, sospeso, gentile, privo di giudizio.
A volte, fotografare un particolare, una tazza sbeccata, una porta consumata, una mano di una persona anziana con le rughe che segnano il tempo, diventa un atto di gentilezza verso la memoria, un modo per valorizzare l’imperfezione come portatore di senso profondo.

Novara 2021 Alessandro Acquadro
Novara 2021 © Alessandro Acquadro

C’è una parte nel libro di Koren, dove spiega il fondamento metafisico del Wasi-Sabi, in cui parla delle piccole tracce che si lasciano, “prove indistinte ai margini del nulla”. L’immagine del viandante che dopo essersi riparato all’imbrunire sotto dei giunchi, nel riprendere il suo viaggio al mattino lascia la natura incontaminata ma rimangono comunque tracce delicate del suo passaggio, da piccoli segni nei giunchi al ricordo nella mente del viandante.

Questa consapevolezza dell’impermanente dove prima un cosa non c’era e fra un momento non ci sarà mi affascina moltissimo.